FUORISTRADA 1 - Belgrado, Varmo - Un bosco tra due fiumi
"Il paesaggio di Belgrado è arido e poroso, con grandi
pause che direi da bivacco o da gregge":la penna
impressionista di Pasolini (TEMPORALI, 157) ci introduce
all'attraversamento di uno degli ultimi boschi ripariali friulani, striscia sottile che
corre sulle rive del Tagliamento, ricamata "dalle bacchette dei salici piantati a confine
dell'acqua" (Bartolini, GHEBO, 28) e dai "pioppi e le querce", che pare formino" una quinta scenica all'acqua verde del fiume" (Maldini, STAZIONE, 168). Prima di
entrare nei "teneri boschi cedui" popolati di donnole e tassi, "filamentosi e rossi
come il rubino in inverno, caldi e sontuosi d'estate, zeppi d'uccelli e quieti come piccoli
santuari" (Pasolini, TEMPORALI, 197), però, i nostri passi incroceranno il tappeto
liquido della roggia di Belgrado e la "vaga riviera del Varmo", che "sgorga da
parecchie sorgenti, che forse pigliano vita per sotterranei meati dal vicino
Tagliamento", come ricorda Ippolito Nievo nella omonima novella (VARMO, 273).
FUORISTRADA 2 - Romans - I ricchi "magrés"
"Quando fu fuori dell'abitato, camminò ancora in mezzo ai
campi per qualche chilometro, finché arrivò sulle sponde di
una roggia": eccolo il nostro itinerario di scoperta lungo i
magrès, materassi di ghiaia con un'imbottitura liquida, disegnato
in due parole attorno a un personaggio del Pasolini
friulano (TEMPORALI, 116).
Per essere più dettagliati: dal castello di silenzio di villa Gattolini, rotto solo dal
fruscio della roggia Brodiz, ci inoltriamo in una campagna animata da "i suoni consueti:
sussurri, fruscii d'alberi, inquietudini d'uccelli, i tonfi monotoni delle rane"
(Giacomini, MANOVRE, 95) e, una volta arrivati "di fianco all'argine", "tagliamo per i
campi, piegandoci sotto i filari, solo scostando le bacchette spoglie dei gelsi e
quelle più elastiche dei salici".
"Raggiungiamo - così - il Corno" (Bartolini, ALBA, 112) verso nord, per discendere
quasi subito in direzione Romans, tra i "colchici, vinchi e tanta acqua", le "lame e
i gorghi nascosti" della roggia Brodiz (Giacomini, ANTOLOGIA, 60), ascoltando "il
canto del merlo di sera, ubriaco di luce impigliata sopra gli ontani" (Giacomini,
PRESUMÛT, 83).
FUORISTRADA 3 - Gradiscutta, Glaunicco - Passeggiata Nievo
Uno tra i più indimenticabili
percorsi extraurbani
delle Terre di Mezzo corre sulle tracce della realtà
e della fantasia che si incontrano nelle orme di un unico
uomo: Ippolito Nievo. "IL VARMO", "racconto inspirato dalle memorie d'una
passeggiata" compiuta insieme all'"amicissimo" Francesco Verzegnassi, mette in
scena la spensieratezza irripetibile dell'infanzia, che trova "il bandolo di menare
la vita in allegria, senza darsene cura", attraverso le avventure di due piccoli
eroi, la Favitta e lo Sgricciolo. Su questa stessa strada che, partendo dal mulino
di Gradiscutta e dal cimitero, sale parallela al fiume di risorgiva da cui
prende nome il racconto, i figli del mugnaio di Glaunicco "saltavano solchi e
fossati, bucavano serraglie e montavano alberi, guazzavano nell'acqua tuffandovi
entro i loro braccetti, e giocolando fra loro e col Varmo, come tre ottimi
amici cresciuti sempre insieme", mentre "tutto all'intorno si stende sovr'essi l'ombra
fraterna dei salici, dalla quale si leva piú alto né superbo né invidiato un
qualche pioppo cipressino; e i colori sono composti per ogni cosa ad una queta
armonia" (VARMO, 12 sgg.). Se poi volete allungare il percorso per poco più di
un chilometro verso sud, voltando a sinistra dopo casa Zanelli, basta affidarsi
a un'altra penna innamorata di questa natura: "Io andavo a Varmo sulle piste
del Nievo, e in quel viaggio la cosa più bella che vidi fu un pavone, presso
Straccis, un pavone color avorio e topo" (Pier Paolo Pasolini, TEMPORALI, 158).
FUORISTRADA 4 - Bugnins vecchio, Glaunicco - La spianata dei picchi
Settecento metri oltre l'incrocio con la Provinciale, le
acque della roggia Bugnins lasciano presto spazio a una "spianata", una "campagna coltivata a granoturco, a medica e a vigna" dove, "qua e là, verdeggia più intensamente qualche boschetto di pioppi o di acacie"
(Pasolini, AMADO, 214), in cui fanno il nido gli uccelli ("picchi soprattutto: il
nero, il verde, il rosso maggiore, il piccolo, qualche torcicollo e il formichiere",
Giacomini, GIARDINIERE, 71) e sopra la quale, "portati al vento di grecale, gabbiani
come stracci salgono dal mare" (Giacomini, DISEQUILIBRIO, 41), mentre ci
avviciniamo al "bel luogo" di Glaunicco, "dove la calma naturale parea quasi
contemperare il chiasso e il tumulto dei sollazzi fanciulleschi" (Nievo, VARMO,
12).
FUORISTRADA 5 - Bugnins, Pieve di Rosa -Via Crescentia, tra Roma e il Medioevo
"La pianura aveva subito le forze contrarie che l'avevano
calpestata passando": i "Romani", innanzitutto (Maldini, STAZIONE, 17). La nostra
deviazione campestre, questa volta, non offre soltanto il diversivo verde di
ontani e noccioli. Perché i quasi tre chilometri che tagliano i poderi squadrati
come le tessere di un mosaico da Bugnins a Pieve di Rosa hanno il sapore di
una storia antica: quella della via Crescentia, "via terrena", cioè sterrata, un
tempo come oggi, che congiungeva, correndo ad appena mezzo chilometro dal
fiume, la via Postumia (148 a.C., Genova-Aquileia) a nord e la Annia (131
a.C., Adria-Aquileia, passando per Concordia) a sud, autostrade lastricate su
cui i consoli avevano aperto l'accesso verso i confini orientali del dominio
romano. Oltre l'età oscura delle invasioni, quando le vie di un impero ormai
scomparso si fecero malsicure, l'umile Crescentia, in virtù del suo sviluppo verticale,
si trasformò nell'acceso privilegiato prima alla via d'acqua del
Tagliamento e poi ai suoi guadi (quello di Rosa su tutti), garantiti da chiatte con
fondo piatto e popolati di ospizi e xenodochi per pellegrini "turisti" di tempi difficili.
FUORISTRADA 6 - Gorizzo, Iutizzo - La campagna degli amanti nascosti
Il nostro itinerario di scoperta attraversa due chilometri di
una campagna ancora nieviana in cui, "fra solco e solco,
cresce l'olmo nodoso e stentato, sul quale la vite lentamente
s'arrampica" (VARMO, 274), e la striscia di terra che ci fa da passerella in
mezzo alla natura è incorniciata da "i rami della sacra quercia" e dal "pigolare
nervoso del pettirosso tra i cespugli" (Giacomini, ANTOLOGIA, 167). Poi, giunti "nel paese di Iutizzo", rimaniamo colpiti "dalla chiusura ermetica delle case".
Ma, come ci insegna Sergio Maldini, "quando la vita è troppo prevedibile, basta
la nostra immaginazione a modificarla". E allora, drizzando l'orecchio della fantasia,
udiamo "come dei lamenti che provengono dalle finestre chiuse… Ecco:
un borgo dall'aspetto innocente, pulito, ma sotto, chissà quante passioni!". "Ho
immaginato - conlude Maldini - che Iutizzo era piena di amanti nascosti"
(STAZIONE, 48-49).
FUORISTRADA 7 - Parco di Villa Manin - Il parco dell'ultimo Doge
Una visita al parco di villa Manin ne vale almeno tre: perché
il dedalo di vialetti e passeggiate, disegnato nel 1714
da un'anonima mano francese ispiratasi alle delizie di Versailles, e rifatto in
senso tardoromantico da Pietro Quaglia (1863), è un paradiso dei botanici, un
museo a cielo aperto per gli amanti dell'arte e una meta obbligata dei bibliofili.
Sul fronte arboreo non contano soltanto i galloni dell'età, come per il tasso
bicentenario, ma anche la nazionalità ("gli immensi alberi d'ogni paese"
[Giacomini, GIARDINIERE, 28], tra i cui più "esotici" si segnalano "l'abete del
Caucaso, il cedro bianco di California, il pino piangente dell'Himalaya, la
sequoia sempreverde" [Maldini, CASA, 179]) e la tavolozza dei colori, su tutti il
giallo acceso, in aprile, dei narcisi in fiore nel grande prato centrale. I monumenti
di pietra, poi, si alternano a quelli verdi in un insieme che ha il sapore di
un'antichità da sogno, con un lungo viale delle Erme preceduto da un tempietto
neoclassico e monticelli dal nome evocativo (Etna, Parnaso) su cui riposano
gruppi statuari a soggetto mitologico. La etteratura entra nel parco attraverso
le pagine, di una bellezza senza tempo, de "IL GIARDINIERE DI VILLA MANIN", di
Amedeo Giacomini, in cui il filologo-uccellatore di Varmo si traveste da canuto
custode del giardino e delle sue memorie, anche amare, come quelle delle "peschiere" traboccanti "ruderi e immondizie" durante l'occupazione del comando
sudafricano alla fine della seconda guerra mondiale. Ma "il mistero - quanto
in fondo dà sapore alla vita", potete trovarlo ancora oggi "qui dentro, all'ombra
di queste piante che parlano di climi e di lontananze vaporose, qui dove è
abolita la distanza nello spazio e nella durata, dove si cambia senza fatica
paese e identità, si sparisce, si ricompare all'ultimo momento, travestiti, a mille
miglia dal posto in cui si credeva prigionieri, qui dove l'Io resta con lo sguardo
sperduto, vedendo, immaginano sempre e soltanto la propria felicità"
(GIARDINIERE, 14).
FUORISTRADA 8 - Parco delle Risorgive - Le sorgenti delle Terre di Mezzo
Se David Livingstone cercò le sorgenti del Nilo e Claudio
Magris quelle del Danubio, noi abbiamo trovato le fonti
delle Terre di Mezzo: sono qui, nel parco delle Risorgive,
a sud di Codroipo, sotto l'antica linea de Lis Moraulis, dallo slavo morava, erba
per i pascoli, dove la linea di ghiaia e quella di sabbia di una pianura inventata
un'era geologica fa dal Tagliamento si incontrano facendo zampillare
fontanili (cavità dal contorno irregolare), lame (bassure paludose), olle (pozze
artesiane) e bollidori (scavi artificiali rivestiti da graticci).
La mano trasformatrice dell'uomo, poi, ha scavato le rogge, canali dove l'acqua
accelera per produrre energia, come in quella consacrata a Sant'Odorico,
su cui si affaccia una teoria rettilinea di cinque mulini (e l'attuale via così si
chiam in loro onore), quattro dei ventidue originari che fecero grande l'economia
codroipese: quello "Di Bert/Di Zoratto", al numero 70 della via (tel 0432-
906143), è in funzione (l'unico) dal '400, e oggi rimane il solo in Italia che,
oltre al tradizionale lavoro della macine, esegue la battitura dello stoccafisso
attraverso l'antichissmo sistema del pestello del lino.
Acque in libera uscita, rotonde e sparpagliate, e acque incantenate, piegate
alle efficienti geometrie umane. Acque, in ogni caso, riscaldate dal bacino sotterraneo,
e mai sotto i dodici gradi. Neppure in inverno. Il parco regionale, creato
nel 1983 per racchiudere in un'isola di quarantacinque ettari l'ultimo lembo
umido della Bassa sottratto all'era delle bonifiche, apre le sue strade bianche,
sentieri, ponti, aree di soste e percorsi pedonali trecentosessantacinque giorni
all'anno (l'ingresso è libero, tel 0432-905107) a chi vuole muoversi tra paesaggi
altrove scomparsi: i ghebi di bartoliniana memoria, boschi planiziali, torbiere
basse, praterie umide, "lande dove sembra camminare su una camera d'aria
tanto la terra è impregnata e muschiosa" (Bartolini, FRIULI, 94), incise da due
corsi, l'Acqua Reale e l'Acqua Bianca, "dai nomi teneramente romanzi", cantati
con versi premurosi da Amedeo Giacomini ("nell'Acqua Bianca il balenare del
ghiozzo pesciolino cieco che ti assomiglia, e la gallinella tra le canne a perdersi
cincischiando parole che nessuno potrà capire", IN AGRIS, 57).
FUORISTRADA 9 - S. Lorenzo, Pozzo, Sedegliano - La pianura scalza
"Le campagne di Codroipo
sono anche le campagne
mie, in quella pianura così amata che percorrevamo da
scalzi, come su di un tappeto, pianura che ci pareva fosse il cuore del mondo,
una spazio dove gli occhi di tutti noi si fanno azzurri a forza di guardare"
(PREFAZIONE A TIARE, 7): è lo stesso padre Turoldo a considerare "suoi" anche gli
spazi campestri che, da San Lorenzo, ancora in Comune di Sedegliano, scendono
verso Pozzo di Codroipo. "Paesi - ricorda Elio Bartolini - Pozzo dopo
Goricizza, Gradisca dopo Pozzo, Sedegliano dopo Gradisca - che sapevo
allineati, dalla Bassa all'Alta, sulla strada che, subito dopo Codroipo, diventava
un vialone di platani solenni d'immobilità" (INFANZIA, 60). E i platani, insieme "alle colture, ai filari di gelsi, a tutte le tracce di un'amorosa presenza" (Bartolini,
IPPOLITA, 353), li ritroviamo anche nel segmento più a nord del percorso, quello
che sale verso la chiesetta campestre della Madonna del Rosario, declinando
ancora una volta la terra in spiritualità.
FUORISTRADA 10 - Coderno, Sedegliano, Grions - Comunione con la natura
Sulle orme di Turoldo, andiamo "in giro così, attraverso le
campagne, per riempirci gli occhi di quel particolare verde
dei prati" (VECCHIO, 64): attraversata la Provinciale 39 a
mezza strada tra Sedegliano e Grions, scendiamo in un percorso ad anello discosto "dal turbinio delle strade" da cui giunge "il lontano rumore delle macchine
in corsa", per immetterci in un percorso ad anello punteggiato da gelsi che,
correndo a sud lungo il canale Giavons, sfiora il capoluogo rimontando a
nord, dove si può allungare fino a Grions o rientrare nel paese natale di
Turoldo. Che, di passeggiate tra i suoi campi come questa, avrebbe cantato in
versi nella fredda nostalgia dei suoi soggiorni milanesi: "Era quella la vita che
dovevamo vivere, non questa che abbiamo scelto per follia, questa che ci divora
e ci rende atomi di solitudine. É rotta ormai per sempre la comunione con la
profonda natura?".
FUORISTRADA 11 - Rivis, Turrida, Redenzicco - Quei campi sopra Rivis
Questo itinerario di scoperta è quasi un bignami delle
Terre di mezzo: distillati in otto chilometri scarsi ci trovate
una natura indimenticabile, una religiosità profonda, opere d'arte sorprendenti,
il rapporto inscindibile tra uomo e acqua e, naturalmente, un territorio messo in
poesia. Il mulino di Rivis, nostro punto di partenza, è anche un bivio verso due
punti cardinali e due mondi: a sud, la mulattiera in terra battuta ritorna alla
chiesa di San Girolamo accerchiandola da dietro, tra "prati verdi che odorano
di erba selvatica e di allodole nascoste" (Giacomini, ANTOLOGIA, 165), per scendere
lentamente fino a via Valvasona, che sbocca sul traffico statale 463. A
nord, in mezzo a quei "campi sopra Rivis, tutti eguali precisi, tutti quadrati"
(Bartolini, CJANTADIS, 56), un selciato di ghiaia tiene il passo della roggia
Sant'Odorico, scavata nel '300 dai monaci benedettini, lungo l'antica via di
mugnai e battiferro fino alle case di Turrida dove, seguendo per trecento metri
via Belvedere e voltando a sinistra in piazzetta della Madonna, entriamo nell'anello
che ci porta a Redenzicco e alla sua chiesa di San Giovanni Battista,
con gli affreschi più antichi del Comune, attraverso le golene del Tagliamento,
quel "fiume del mio Friuli, povero fiume, vasto di ghiaia ove appena qualche
incavo di acque accoglieva nell'estate, i nostri bianchi corpi di fanciulli simile a
un selvaggio battistero" (Turoldo, O SENSI, 620).
FUORISTRADA 12 - Casarsa, Versutta - Il silenzio della Versa
"Da Casarsa a Versutta non c'è che un sentiero campestre"
(TEMPORALI, 145), scriveva Pasolini alla metà degli anni
'40: oggi quel sentiero inizia sull'asfalto di via Fiume e Spinis ma, dopo circa un
chilometro e mezzo, "traspare la terra verde: gelsi, viti e alni (ontani, ndr) e
qualche campo di canne e solchi verdini di grano" (TEMPORALI, 289); "indi", all'altezza
di Versutta, muovendo a destra dalla chiesetta campestre di Sant'Antonio
Abate, "si incontra una roggia, la Versa, attorniata da una folla di faggi, ontani,
salici, pioppi", ma "nella sua corrente tersa e incolore" non "si specchiano i lavatoi
delle donne di Versutta" (111): "il canto della Versa", infatti, "canto basso e
lieve, canto interminabile", da almeno un decennio, prosciugatasi la falda
acquifera di risorgiva che l'alimentava, si è "perduto nel sonno dei campi come
i morti sotterra".
Rimane, lungo un percorso che si conclude a sud nel ventre asciutto della roggia, "il silenzio di sogno" che avvolge "la più dolce campagna della terra".
FUORISTRADA 13 - Casarsa - Giù per le Miriscis
A nord della moderna Casarsa, oltre i ruderi fioriti dell'ex
polveriera, corre un itinerario di scoperta che, a metà
cammino, incrocia "lo specchio" della roggia dei mulini, uno specchio in cui "
Casarsa, come i prati di rugiada, trema di tempo antico" (POESIE, 13), si prolunga
nel solco di un'antica strada romana e, voltando a gomito verso sud, circonda
l'area delle Miriscis, un etimo incerto che vuol dire "fondazioni", forse degli
stessi coloni che aprirono la via, in cui Meni e Nisiuti Colùs, protagonisti dolenti
dei TÙRCS TAL FRIÙL, "giù per le Miriscis" insidiavano i cardellini, "in un piccolo
nocciolo, là, vicino alla roggia" (TÙRCS, 50). E proprio qui, in quella che oggi è
una "tumultuosa folla di vigne" (TEMPORALI, 219), si arresterà, quasi una grazia
ricevuta, l'avanzata dell'Ottomano invasore: "I Turchi si fermano. Scappano via
urlando, tornano ad attraversare le Miriscis". (TÙRCS, 80).
Il poeta le celebrerà anche in una villotta colma di adolescenziale nostalgia: "O
campi lontani! Miriscis! Fresco canto e fresco vado, vostro antico ragazzetto, in
mezzo alle morte prodaie" (NUOVA, 27).
FUORISTRADA 14 - S.Giovanni, Casarsa - I teneri prati della Pulisuta
Uno degli itinerari di scoperta più lunghi e ricchi delle
terre di Mezzo scende dapprima verso la chiesetta rurale
di San Carlo, a sud, per risalire a intrecciarsi con la roggia dei mulini a ovest,
lungo "strade di terra battuta bianca, in dolce curva, con l'orizzonte perennemente
rappreso in un vapore azzurrino" (TEMPORALI, 197).
Di nuovo alle latitudini di via Runcis, "ma per i teneri prati e i campi arsi" (POESIE,
69), ci si apre alla vista, in località Boscàt, l'area naturalistica della Pulisuta, in
dialetto "torbiera, zona umida", quasi un laboratorio didattico dell'ambiente, con
le sue olle di risorgiva, la sua enciclopedia a cielo aperto di erbe, i suoi boschi
di farnie (tre sono centenarie) e noccioli, "zeppi d'uccelli e quieti come piccoli
santuari" (TEMPORALI, 197), una natura-capolavoro sfidata dall'arte nella
Madona dal Miràcul dipinta in una nicchia sotto il portico del complesso rurale
Boscàt, ex voto per la guarigione di una bimba che imita la Maria Hilfe
(Madonna del soccorso) di Lukas Cranach il Vecchio (1472-1553).
A nord lo sterrato termina in "una campagna verde ma bruciata, con dei cespugli
sotto l'argine della ferrovia: poco più in giù, cominciano le file di gelsi e di vigne,
e le macchie dei boschetti lungo le rogge" (TEMPORALI, 162).
FUORISTRADA 15 - Stalis, Venchiaredo - Il vento trra i salici
Una volta attraversato il guado del mulino sull'isola, la
passerella di legno affacciata sopra il Lemene corre per
alcune centinaia di metri lungo la roggia, attraverso l'antico boschetto ripariale
ripristinato insieme al moto sincronico di pale e macina; negli anfratti del
grande canale scolmatore, rifatto come ai tempi dei nieviani Clara e Lucilio, vive
la gracchiante Araba fenice delle Terre di Mezzo, ovvero la rana di Lataste,
poche colonie di esemplari in tutto il mondo, concentrate nelle zone umide della
pianura padana; rosa e con due macchie scure sulle tempie, si riproduce a febbraio
e marzo in piccole pozze d'acqua ed è quasi invisibile, per la sua statura
(sessanta millimetri) da nano dei batraci. Ritornati sulla larga via maestra, puntando
verso nord descriviamo un anello che ci riporta sull'asfalto di via Venzone
(e, subito a destra, di via Venchieredo), mentre ci fanno corona, tra ontani e
noccioli, i salici bianchi capitozzati alla veneta, con le estremità amputate,
come nei quadri di Tiepolo, per moltiplicare i rami della rinascita.
FUORISTRADA 16 - Giardino di Villa Freschi - Due giardini allo specchio
Un giardino, due stili a confronto: quello all'inglese che,
con il chiaroscuro delle acque e l'uso della prospettiva,
imita romanticamente il libero disegno della natura, e
quello all'italiana, inventato dal Rinascimento, che in onore dei classici compone
raffinate geometrie e fabbrica architetture vegetali.
Il parco di villa Freschi-Piccolomini, piccolo compendio di entrambi, smette di
essere l'area verde del diruto castello negli anni Venti dell'800, quando Carlo
Sigismondo fa abbattere le ultime mura e rimodella il suo piccolo Eden privato
nel gusto suggerito dal poeta anglossassone sir Horace Walpole (la letteratura
c'entra anche qui!), con l'erezione dei sette colli e la trasformazione dei
medievali fossati in ruscelli.
Del labirinto di bosso, parte del reticolato di sentieri, rimane oggi qualche
esemplare, insieme a una magnolia, a un cedro, a uno sofora e a due imponenti
olmi, tutti rinomati per bellezza e vetustà.
Dello stile all'italiana, declinato intorno al palazzo, restano leggibili la forma
geometrica del giardino d'onore, con l'ampio cerchio della cavallerizza
inghirlandata dai platani, e la pergola inerpicata sull'accesso al cortile.
FUORISTRADA 17 - Lauzzana, Codugnella - Sulla linea delle colline
Il primo itinerario "sulla linea delle colline" dove, "in equilibrio
tra Vienna e Venezia", come ricorda Elio Bartolini, "si
erano attestati i Colloredo" (TERRE, 67), corre su una mulattiera pianeggiante
incornciata dai poggi e lontana da ogni umana presenza: a farci compagnia,
però, c'è una scorta di querce e noccioli che, dopo due terzi di strada, valicato
il rio Bevorchiana, lascia al passo a groppi di boschetti popolati da aceri e
farnie; la lunga discesa finale verso Codugnella inizia con una curva a gomito
a sinistra, per sbucare sull'asfalto della Provinciale.
FUORISTRADA 18 - Codugnella - La discesa fiorita
Imboccatta via Collesse e lasciata sulla destra la cappella
antica di San Flavio ad attenderci, oltre la facciata
lucente di una villa, c'è un itinerario di scoperta interamente in discesa che,
nella sua amena brevità, fa ritornare in mente l'entusiasmo nieviano per luoghi
così cari alla natura: "Son corso, son volato a queste simpatiche colline del Friuli
aspirando da lontano, con la tromba aspirante dell'immaginazione, un aria tiepida
e pura, imblasamata dai profumi delle viole, dei serpilli e delle rose di
campo", scriveva estasiato a un amico (LETTERE, 279).
FUORISTRADA 19 - Mels - Il filo verde dei gelsi
"Là, a dispetto di tutto, getta profonde radici la ricca pianta
del gelso, sicchè lo vedi per maraviglia sorgere dritto e
lucente, e vestirsi in primavera di quella foglia sottile, venosa, levigata": pagine
nieviane tratte dal VARMO (273), ma che calzano come una poesia su misura ai
tre chilometri e mezzo di un percorso completamente pianeggiante contornato
dai filari di quella pianta da cui, nelle filande di pianura, si dipanava "la più
bella seta del mondo". Doppiato un pozzo con carrucola e attraversato il torrente
Corno, ai gelsi si uniscono siepi e boschetti di salici e aceri.
FUORISTRADA 20 - Mels, Entesano, Laibacco - La leggenda del poeta contadino
Il percorso più ricco di chilometri e fascino delle Terre di
Mezzo collorediane punta verso sud, lasciandosi subito
sulla destra la "collina di Pasquetta", dove le generazioni pre-terremoto celebravano,
il lunedì dell'Angelo, la propria iniziazione alla vita con scalze colazioni
sull'erba. Il filo di Arianna dei gelsi, che si srotola sulla sinistra, ci guida verso
il boschetto dei lavadòrs, i lavatoi in pietra, oggi ricostruiti insieme al ravvenato
rio Cavarca, su cui le donne formavano archi di schiene e catene di parole.
Da qui inizia una morbida salita culminante nelle prima case di Entesano e nell'attraversamento
di via Paniae: sulla destra dell'incrocio, l'ombra discreta di San
Zenone, chiesetta vinta dal terremoto ma di prossima rinascita, sulla sinistra un
largo caseggiato rurale. Passata la lingua d'asfalto, la mulattiera ricomincia a
salire tra un tripudio di olmi e frassini, con un'escursione in territorio urbano
nella località minuscola di Pissignano, sfiorando la chiesa campestre di San
Giovanni Battista; due curve a gomito (la prima destra e la seconda a sinistra)
ci incanalano verso il capoluogo, a nord, non prima di avere attraversato, a
Ols, il complesso di Santa Margherita, che la leggenda paesana dicono abitata
da un personaggio illustre: "Una sorta di tedio, di stanchezza morale, dalla
corte di Vienna gli fa sospirare il Friuli, Montalbano". Avete capito bene: Elio
Bartolini (FRIULI, 9) si riferisce a Ermes di Colloredo, cortigiano deluso dagli ozi
ipocriti della corte imperiale che, riparato a Gorizzo, preferiva questo pied à
terre, introdotto da un nobilesco arco bugnato a tutto stesto ma perduto in
mezzo alla campagna, ai larghi e troppo frequentati saloni del castello avito; un
castello che, proseguendo sullo sterrato fino all'incrocio con la Provinciale 49,
da oltrepassare per imboccare la salita a Laibacco, prendiamo alle spalle, scollinando
oltre al nucleo abitato della frazione tra campi di mais e frumento:
prima di riguadagnare la Provinciale 100 su via Vendoglio, l'ultimo "fuoristrada"
delle Terre di Mezzo è un boschetto in cima a una collina, sulla sinistra.
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