FUORISTRADA 1 - Belgrado, Varmo - Un bosco tra due fiumi

"Il paesaggio di Belgrado è arido e poroso, con grandi pause che direi da bivacco o da gregge":la penna impressionista di Pasolini (TEMPORALI, 157) ci introduce all'attraversamento di uno degli ultimi boschi ripariali friulani, striscia sottile che corre sulle rive del Tagliamento, ricamata "dalle bacchette dei salici piantati a confine dell'acqua" (Bartolini, GHEBO, 28) e dai "pioppi e le querce", che pare formino" una quinta scenica all'acqua verde del fiume" (Maldini, STAZIONE, 168). Prima di entrare nei "teneri boschi cedui" popolati di donnole e tassi, "filamentosi e rossi come il rubino in inverno, caldi e sontuosi d'estate, zeppi d'uccelli e quieti come piccoli santuari" (Pasolini, TEMPORALI, 197), però, i nostri passi incroceranno il tappeto liquido della roggia di Belgrado e la "vaga riviera del Varmo", che "sgorga da parecchie sorgenti, che forse pigliano vita per sotterranei meati dal vicino Tagliamento", come ricorda Ippolito Nievo nella omonima novella (VARMO, 273).

 

FUORISTRADA 2 - Romans - I ricchi "magrés"

"Quando fu fuori dell'abitato, camminò ancora in mezzo ai campi per qualche chilometro, finché arrivò sulle sponde di una roggia": eccolo il nostro itinerario di scoperta lungo i magrès, materassi di ghiaia con un'imbottitura liquida, disegnato in due parole attorno a un personaggio del Pasolini friulano (TEMPORALI, 116). Per essere più dettagliati: dal castello di silenzio di villa Gattolini, rotto solo dal fruscio della roggia Brodiz, ci inoltriamo in una campagna animata da "i suoni consueti: sussurri, fruscii d'alberi, inquietudini d'uccelli, i tonfi monotoni delle rane" (Giacomini, MANOVRE, 95) e, una volta arrivati "di fianco all'argine", "tagliamo per i campi, piegandoci sotto i filari, solo scostando le bacchette spoglie dei gelsi e quelle più elastiche dei salici". "Raggiungiamo - così - il Corno" (Bartolini, ALBA, 112) verso nord, per discendere quasi subito in direzione Romans, tra i "colchici, vinchi e tanta acqua", le "lame e i gorghi nascosti" della roggia Brodiz (Giacomini, ANTOLOGIA, 60), ascoltando "il canto del merlo di sera, ubriaco di luce impigliata sopra gli ontani" (Giacomini, PRESUMÛT, 83).

 

FUORISTRADA 3 - Gradiscutta, Glaunicco - Passeggiata Nievo

Uno tra i più indimenticabili percorsi extraurbani delle Terre di Mezzo corre sulle tracce della realtà e della fantasia che si incontrano nelle orme di un unico uomo: Ippolito Nievo. "IL VARMO", "racconto inspirato dalle memorie d'una passeggiata" compiuta insieme all'"amicissimo" Francesco Verzegnassi, mette in scena la spensieratezza irripetibile dell'infanzia, che trova "il bandolo di menare la vita in allegria, senza darsene cura", attraverso le avventure di due piccoli eroi, la Favitta e lo Sgricciolo. Su questa stessa strada che, partendo dal mulino di Gradiscutta e dal cimitero, sale parallela al fiume di risorgiva da cui prende nome il racconto, i figli del mugnaio di Glaunicco "saltavano solchi e fossati, bucavano serraglie e montavano alberi, guazzavano nell'acqua tuffandovi entro i loro braccetti, e giocolando fra loro e col Varmo, come tre ottimi amici cresciuti sempre insieme", mentre "tutto all'intorno si stende sovr'essi l'ombra fraterna dei salici, dalla quale si leva piú alto né superbo né invidiato un qualche pioppo cipressino; e i colori sono composti per ogni cosa ad una queta armonia" (VARMO, 12 sgg.). Se poi volete allungare il percorso per poco più di un chilometro verso sud, voltando a sinistra dopo casa Zanelli, basta affidarsi a un'altra penna innamorata di questa natura: "Io andavo a Varmo sulle piste del Nievo, e in quel viaggio la cosa più bella che vidi fu un pavone, presso Straccis, un pavone color avorio e topo" (Pier Paolo Pasolini, TEMPORALI, 158).

 

FUORISTRADA 4 - Bugnins vecchio, Glaunicco - La spianata dei picchi

Settecento metri oltre l'incrocio con la Provinciale, le acque della roggia Bugnins lasciano presto spazio a una "spianata", una "campagna coltivata a granoturco, a medica e a vigna" dove, "qua e là, verdeggia più intensamente qualche boschetto di pioppi o di acacie" (Pasolini, AMADO, 214), in cui fanno il nido gli uccelli ("picchi soprattutto: il nero, il verde, il rosso maggiore, il piccolo, qualche torcicollo e il formichiere", Giacomini, GIARDINIERE, 71) e sopra la quale, "portati al vento di grecale, gabbiani come stracci salgono dal mare" (Giacomini, DISEQUILIBRIO, 41), mentre ci avviciniamo al "bel luogo" di Glaunicco, "dove la calma naturale parea quasi contemperare il chiasso e il tumulto dei sollazzi fanciulleschi" (Nievo, VARMO, 12).

 

FUORISTRADA 5 - Bugnins, Pieve di Rosa -Via Crescentia, tra Roma e il Medioevo

"La pianura aveva subito le forze contrarie che l'avevano calpestata passando": i "Romani", innanzitutto (Maldini, STAZIONE, 17). La nostra deviazione campestre, questa volta, non offre soltanto il diversivo verde di ontani e noccioli. Perché i quasi tre chilometri che tagliano i poderi squadrati come le tessere di un mosaico da Bugnins a Pieve di Rosa hanno il sapore di una storia antica: quella della via Crescentia, "via terrena", cioè sterrata, un tempo come oggi, che congiungeva, correndo ad appena mezzo chilometro dal fiume, la via Postumia (148 a.C., Genova-Aquileia) a nord e la Annia (131 a.C., Adria-Aquileia, passando per Concordia) a sud, autostrade lastricate su cui i consoli avevano aperto l'accesso verso i confini orientali del dominio romano. Oltre l'età oscura delle invasioni, quando le vie di un impero ormai
scomparso si fecero malsicure, l'umile Crescentia, in virtù del suo sviluppo verticale, si trasformò nell'acceso privilegiato prima alla via d'acqua del Tagliamento e poi ai suoi guadi (quello di Rosa su tutti), garantiti da chiatte con fondo piatto e popolati di ospizi e xenodochi per pellegrini "turisti" di tempi difficili.

 

FUORISTRADA 6 - Gorizzo, Iutizzo - La campagna degli amanti nascosti

Il nostro itinerario di scoperta attraversa due chilometri di una campagna ancora nieviana in cui, "fra solco e solco,
cresce l'olmo nodoso e stentato, sul quale la vite lentamente s'arrampica" (VARMO, 274), e la striscia di terra che ci fa da passerella in mezzo alla natura è incorniciata da "i rami della sacra quercia" e dal "pigolare nervoso del pettirosso tra i cespugli" (Giacomini, ANTOLOGIA, 167). Poi, giunti "nel paese di Iutizzo", rimaniamo colpiti "dalla chiusura ermetica delle case". Ma, come ci insegna Sergio Maldini, "quando la vita è troppo prevedibile, basta la nostra immaginazione a modificarla". E allora, drizzando l'orecchio della fantasia, udiamo "come dei lamenti che provengono dalle finestre chiuse… Ecco: un borgo dall'aspetto innocente, pulito, ma sotto, chissà quante passioni!". "Ho immaginato - conlude Maldini - che Iutizzo era piena di amanti nascosti" (STAZIONE, 48-49).

 

FUORISTRADA 7 - Parco di Villa Manin - Il parco dell'ultimo Doge

Una visita al parco di villa Manin ne vale almeno tre: perché il dedalo di vialetti e passeggiate, disegnato nel 1714
da un'anonima mano francese ispiratasi alle delizie di Versailles, e rifatto in senso tardoromantico da Pietro Quaglia (1863), è un paradiso dei botanici, un museo a cielo aperto per gli amanti dell'arte e una meta obbligata dei bibliofili. Sul fronte arboreo non contano soltanto i galloni dell'età, come per il tasso bicentenario, ma anche la nazionalità ("gli immensi alberi d'ogni paese" [Giacomini, GIARDINIERE, 28], tra i cui più "esotici" si segnalano "l'abete del Caucaso, il cedro bianco di California, il pino piangente dell'Himalaya, la sequoia sempreverde" [Maldini, CASA, 179]) e la tavolozza dei colori, su tutti il giallo acceso, in aprile, dei narcisi in fiore nel grande prato centrale. I monumenti di pietra, poi, si alternano a quelli verdi in un insieme che ha il sapore di un'antichità da sogno, con un lungo viale delle Erme preceduto da un tempietto neoclassico e monticelli dal nome evocativo (Etna, Parnaso) su cui riposano gruppi statuari a soggetto mitologico. La etteratura entra nel parco attraverso le pagine, di una bellezza senza tempo, de "IL GIARDINIERE DI VILLA MANIN", di Amedeo Giacomini, in cui il filologo-uccellatore di Varmo si traveste da canuto custode del giardino e delle sue memorie, anche amare, come quelle delle "peschiere" traboccanti "ruderi e immondizie" durante l'occupazione del comando sudafricano alla fine della seconda guerra mondiale. Ma "il mistero - quanto in fondo dà sapore alla vita", potete trovarlo ancora oggi "qui dentro, all'ombra di queste piante che parlano di climi e di lontananze vaporose, qui dove è abolita la distanza nello spazio e nella durata, dove si cambia senza fatica paese e identità, si sparisce, si ricompare all'ultimo momento, travestiti, a mille miglia dal posto in cui si credeva prigionieri, qui dove l'Io resta con lo sguardo sperduto, vedendo, immaginano sempre e soltanto la propria felicità" (GIARDINIERE, 14).

 

FUORISTRADA 8 - Parco delle Risorgive - Le sorgenti delle Terre di Mezzo

Se David Livingstone cercò le sorgenti del Nilo e Claudio Magris quelle del Danubio, noi abbiamo trovato le fonti delle Terre di Mezzo: sono qui, nel parco delle Risorgive, a sud di Codroipo, sotto l'antica linea de Lis Moraulis, dallo slavo morava, erba per i pascoli, dove la linea di ghiaia e quella di sabbia di una pianura inventata un'era geologica fa dal Tagliamento si incontrano facendo zampillare fontanili (cavità dal contorno irregolare), lame (bassure paludose), olle (pozze artesiane) e bollidori (scavi artificiali rivestiti da graticci). La mano trasformatrice dell'uomo, poi, ha scavato le rogge, canali dove l'acqua accelera per produrre energia, come in quella consacrata a Sant'Odorico, su cui si affaccia una teoria rettilinea di cinque mulini (e l'attuale via così si chiam in loro onore), quattro dei ventidue originari che fecero grande l'economia codroipese: quello "Di Bert/Di Zoratto", al numero 70 della via (tel 0432- 906143), è in funzione (l'unico) dal '400, e oggi rimane il solo in Italia che, oltre al tradizionale lavoro della macine, esegue la battitura dello stoccafisso attraverso l'antichissmo sistema del pestello del lino. Acque in libera uscita, rotonde e sparpagliate, e acque incantenate, piegate alle efficienti geometrie umane. Acque, in ogni caso, riscaldate dal bacino sotterraneo, e mai sotto i dodici gradi. Neppure in inverno. Il parco regionale, creato nel 1983 per racchiudere in un'isola di quarantacinque ettari l'ultimo lembo umido della Bassa sottratto all'era delle bonifiche, apre le sue strade bianche, sentieri, ponti, aree di soste e percorsi pedonali trecentosessantacinque giorni all'anno (l'ingresso è libero, tel 0432-905107) a chi vuole muoversi tra paesaggi altrove scomparsi: i ghebi di bartoliniana memoria, boschi planiziali, torbiere basse, praterie umide, "lande dove sembra camminare su una camera d'aria tanto la terra è impregnata e muschiosa" (Bartolini, FRIULI, 94), incise da due corsi, l'Acqua Reale e l'Acqua Bianca, "dai nomi teneramente romanzi", cantati con versi premurosi da Amedeo Giacomini ("nell'Acqua Bianca il balenare del ghiozzo pesciolino cieco che ti assomiglia, e la gallinella tra le canne a perdersi cincischiando parole che nessuno potrà capire", IN AGRIS, 57).

 

FUORISTRADA 9 - S. Lorenzo, Pozzo, Sedegliano - La pianura scalza

"Le campagne di Codroipo sono anche le campagne mie, in quella pianura così amata che percorrevamo da scalzi, come su di un tappeto, pianura che ci pareva fosse il cuore del mondo, una spazio dove gli occhi di tutti noi si fanno azzurri a forza di guardare" (PREFAZIONE A TIARE, 7): è lo stesso padre Turoldo a considerare "suoi" anche gli spazi campestri che, da San Lorenzo, ancora in Comune di Sedegliano, scendono verso Pozzo di Codroipo. "Paesi - ricorda Elio Bartolini - Pozzo dopo Goricizza, Gradisca dopo Pozzo, Sedegliano dopo Gradisca - che sapevo allineati, dalla Bassa all'Alta, sulla strada che, subito dopo Codroipo, diventava un vialone di platani solenni d'immobilità" (INFANZIA, 60). E i platani, insieme "alle colture, ai filari di gelsi, a tutte le tracce di un'amorosa presenza" (Bartolini, IPPOLITA, 353), li ritroviamo anche nel segmento più a nord del percorso, quello che sale verso la chiesetta campestre della Madonna del Rosario, declinando ancora una volta la terra in spiritualità.

 

FUORISTRADA 10 - Coderno, Sedegliano, Grions - Comunione con la natura

Sulle orme di Turoldo, andiamo "in giro così, attraverso le campagne, per riempirci gli occhi di quel particolare verde
dei prati" (VECCHIO, 64): attraversata la Provinciale 39 a mezza strada tra Sedegliano e Grions, scendiamo in un percorso ad anello discosto "dal turbinio delle strade" da cui giunge "il lontano rumore delle macchine in corsa", per immetterci in un percorso ad anello punteggiato da gelsi che, correndo a sud lungo il canale Giavons, sfiora il capoluogo rimontando a nord, dove si può allungare fino a Grions o rientrare nel paese natale di Turoldo. Che, di passeggiate tra i suoi campi come questa, avrebbe cantato in versi nella fredda nostalgia dei suoi soggiorni milanesi: "Era quella la vita che dovevamo vivere, non questa che abbiamo scelto per follia, questa che ci divora e ci rende atomi di solitudine. É rotta ormai per sempre la comunione con la profonda natura?".

 

FUORISTRADA 11 - Rivis, Turrida, Redenzicco - Quei campi sopra Rivis

Questo itinerario di scoperta è quasi un bignami delle Terre di mezzo: distillati in otto chilometri scarsi ci trovate
una natura indimenticabile, una religiosità profonda, opere d'arte sorprendenti, il rapporto inscindibile tra uomo e acqua e, naturalmente, un territorio messo in poesia. Il mulino di Rivis, nostro punto di partenza, è anche un bivio verso due punti cardinali e due mondi: a sud, la mulattiera in terra battuta ritorna alla chiesa di San Girolamo accerchiandola da dietro, tra "prati verdi che odorano di erba selvatica e di allodole nascoste" (Giacomini, ANTOLOGIA, 165), per scendere lentamente fino a via Valvasona, che sbocca sul traffico statale 463. A nord, in mezzo a quei "campi sopra Rivis, tutti eguali precisi, tutti quadrati" (Bartolini, CJANTADIS, 56), un selciato di ghiaia tiene il passo della roggia Sant'Odorico, scavata nel '300 dai monaci benedettini, lungo l'antica via di mugnai e battiferro fino alle case di Turrida dove, seguendo per trecento metri via Belvedere e voltando a sinistra in piazzetta della Madonna, entriamo nell'anello che ci porta a Redenzicco e alla sua chiesa di San Giovanni Battista, con gli affreschi più antichi del Comune, attraverso le golene del Tagliamento, quel "fiume del mio Friuli, povero fiume, vasto di ghiaia ove appena qualche incavo di acque accoglieva nell'estate, i nostri bianchi corpi di fanciulli simile a un selvaggio battistero" (Turoldo, O SENSI, 620).

 

FUORISTRADA 12 - Casarsa, Versutta - Il silenzio della Versa

"Da Casarsa a Versutta non c'è che un sentiero campestre" (TEMPORALI, 145), scriveva Pasolini alla metà degli anni
'40: oggi quel sentiero inizia sull'asfalto di via Fiume e Spinis ma, dopo circa un chilometro e mezzo, "traspare la terra verde: gelsi, viti e alni (ontani, ndr) e qualche campo di canne e solchi verdini di grano" (TEMPORALI, 289); "indi", all'altezza di Versutta, muovendo a destra dalla chiesetta campestre di Sant'Antonio Abate, "si incontra una roggia, la Versa, attorniata da una folla di faggi, ontani, salici, pioppi", ma "nella sua corrente tersa e incolore" non "si specchiano i lavatoi delle donne di Versutta" (111): "il canto della Versa", infatti, "canto basso e lieve, canto interminabile", da almeno un decennio, prosciugatasi la falda acquifera di risorgiva che l'alimentava, si è "perduto nel sonno dei campi come i morti sotterra". Rimane, lungo un percorso che si conclude a sud nel ventre asciutto della roggia, "il silenzio di sogno" che avvolge "la più dolce campagna della terra".

 

FUORISTRADA 13 - Casarsa - Giù per le Miriscis

A nord della moderna Casarsa, oltre i ruderi fioriti dell'ex polveriera, corre un itinerario di scoperta che, a metà
cammino, incrocia "lo specchio" della roggia dei mulini, uno specchio in cui " Casarsa, come i prati di rugiada, trema di tempo antico" (POESIE, 13), si prolunga nel solco di un'antica strada romana e, voltando a gomito verso sud, circonda l'area delle Miriscis, un etimo incerto che vuol dire "fondazioni", forse degli stessi coloni che aprirono la via, in cui Meni e Nisiuti Colùs, protagonisti dolenti dei TÙRCS TAL FRIÙL, "giù per le Miriscis" insidiavano i cardellini, "in un piccolo nocciolo, là, vicino alla roggia" (TÙRCS, 50). E proprio qui, in quella che oggi è una "tumultuosa folla di vigne" (TEMPORALI, 219), si arresterà, quasi una grazia ricevuta, l'avanzata dell'Ottomano invasore: "I Turchi si fermano. Scappano via urlando, tornano ad attraversare le Miriscis". (TÙRCS, 80). Il poeta le celebrerà anche in una villotta colma di adolescenziale nostalgia: "O campi lontani! Miriscis! Fresco canto e fresco vado, vostro antico ragazzetto, in mezzo alle morte prodaie" (NUOVA, 27).

 

FUORISTRADA 14 - S.Giovanni, Casarsa - I teneri prati della Pulisuta

Uno degli itinerari di scoperta più lunghi e ricchi delle terre di Mezzo scende dapprima verso la chiesetta rurale di San Carlo, a sud, per risalire a intrecciarsi con la roggia dei mulini a ovest, lungo "strade di terra battuta bianca, in dolce curva, con l'orizzonte perennemente rappreso in un vapore azzurrino" (TEMPORALI, 197). Di nuovo alle latitudini di via Runcis, "ma per i teneri prati e i campi arsi" (POESIE, 69), ci si apre alla vista, in località Boscàt, l'area naturalistica della Pulisuta, in dialetto "torbiera, zona umida", quasi un laboratorio didattico dell'ambiente, con le sue olle di risorgiva, la sua enciclopedia a cielo aperto di erbe, i suoi boschi di farnie (tre sono centenarie) e noccioli, "zeppi d'uccelli e quieti come piccoli santuari" (TEMPORALI, 197), una natura-capolavoro sfidata dall'arte nella Madona dal Miràcul dipinta in una nicchia sotto il portico del complesso rurale Boscàt, ex voto per la guarigione di una bimba che imita la Maria Hilfe
(Madonna del soccorso) di Lukas Cranach il Vecchio (1472-1553). A nord lo sterrato termina in "una campagna verde ma bruciata, con dei cespugli sotto l'argine della ferrovia: poco più in giù, cominciano le file di gelsi e di vigne, e le macchie dei boschetti lungo le rogge" (TEMPORALI, 162).

 

FUORISTRADA 15 - Stalis, Venchiaredo - Il vento trra i salici

Una volta attraversato il guado del mulino sull'isola, la passerella di legno affacciata sopra il Lemene corre per
alcune centinaia di metri lungo la roggia, attraverso l'antico boschetto ripariale ripristinato insieme al moto sincronico di pale e macina; negli anfratti del grande canale scolmatore, rifatto come ai tempi dei nieviani Clara e Lucilio, vive la gracchiante Araba fenice delle Terre di Mezzo, ovvero la rana di Lataste, poche colonie di esemplari in tutto il mondo, concentrate nelle zone umide della pianura padana; rosa e con due macchie scure sulle tempie, si riproduce a febbraio e marzo in piccole pozze d'acqua ed è quasi invisibile, per la sua statura (sessanta millimetri) da nano dei batraci. Ritornati sulla larga via maestra, puntando verso nord descriviamo un anello che ci riporta sull'asfalto di via Venzone (e, subito a destra, di via Venchieredo), mentre ci fanno corona, tra ontani e noccioli, i salici bianchi capitozzati alla veneta, con le estremità amputate, come nei quadri di Tiepolo, per moltiplicare i rami della rinascita.

 

FUORISTRADA 16 - Giardino di Villa Freschi - Due giardini allo specchio

Un giardino, due stili a confronto: quello all'inglese che, con il chiaroscuro delle acque e l'uso della prospettiva, imita romanticamente il libero disegno della natura, e quello all'italiana, inventato dal Rinascimento, che in onore dei classici compone raffinate geometrie e fabbrica architetture vegetali. Il parco di villa Freschi-Piccolomini, piccolo compendio di entrambi, smette di essere l'area verde del diruto castello negli anni Venti dell'800, quando Carlo Sigismondo fa abbattere le ultime mura e rimodella il suo piccolo Eden privato nel gusto suggerito dal poeta anglossassone sir Horace Walpole (la letteratura c'entra anche qui!), con l'erezione dei sette colli e la trasformazione dei medievali fossati in ruscelli. Del labirinto di bosso, parte del reticolato di sentieri, rimane oggi qualche esemplare, insieme a una magnolia, a un cedro, a uno sofora e a due imponenti olmi, tutti rinomati per bellezza e vetustà. Dello stile all'italiana, declinato intorno al palazzo, restano leggibili la forma geometrica del giardino d'onore, con l'ampio cerchio della cavallerizza inghirlandata dai platani, e la pergola inerpicata sull'accesso al cortile.

 

FUORISTRADA 17 - Lauzzana, Codugnella - Sulla linea delle colline

Il primo itinerario "sulla linea delle colline" dove, "in equilibrio tra Vienna e Venezia", come ricorda Elio Bartolini, "si
erano attestati i Colloredo" (TERRE, 67), corre su una mulattiera pianeggiante incornciata dai poggi e lontana da ogni umana presenza: a farci compagnia, però, c'è una scorta di querce e noccioli che, dopo due terzi di strada, valicato il rio Bevorchiana, lascia al passo a groppi di boschetti popolati da aceri e farnie; la lunga discesa finale verso Codugnella inizia con una curva a gomito a sinistra, per sbucare sull'asfalto della Provinciale.

 

FUORISTRADA 18 - Codugnella - La discesa fiorita

Imboccatta via Collesse e lasciata sulla destra la cappella antica di San Flavio ad attenderci, oltre la facciata
lucente di una villa, c'è un itinerario di scoperta interamente in discesa che, nella sua amena brevità, fa ritornare in mente l'entusiasmo nieviano per luoghi così cari alla natura: "Son corso, son volato a queste simpatiche colline del Friuli aspirando da lontano, con la tromba aspirante dell'immaginazione, un aria tiepida e pura, imblasamata dai profumi delle viole, dei serpilli e delle rose di campo", scriveva estasiato a un amico (LETTERE, 279).

 

FUORISTRADA 19 - Mels - Il filo verde dei gelsi

"Là, a dispetto di tutto, getta profonde radici la ricca pianta del gelso, sicchè lo vedi per maraviglia sorgere dritto e
lucente, e vestirsi in primavera di quella foglia sottile, venosa, levigata": pagine nieviane tratte dal VARMO (273), ma che calzano come una poesia su misura ai tre chilometri e mezzo di un percorso completamente pianeggiante contornato dai filari di quella pianta da cui, nelle filande di pianura, si dipanava "la più bella seta del mondo". Doppiato un pozzo con carrucola e attraversato il torrente Corno, ai gelsi si uniscono siepi e boschetti di salici e aceri.

 

FUORISTRADA 20 - Mels, Entesano, Laibacco - La leggenda del poeta contadino

Il percorso più ricco di chilometri e fascino delle Terre di Mezzo collorediane punta verso sud, lasciandosi subito sulla destra la "collina di Pasquetta", dove le generazioni pre-terremoto celebravano, il lunedì dell'Angelo, la propria iniziazione alla vita con scalze colazioni sull'erba. Il filo di Arianna dei gelsi, che si srotola sulla sinistra, ci guida verso il boschetto dei lavadòrs, i lavatoi in pietra, oggi ricostruiti insieme al ravvenato rio Cavarca, su cui le donne formavano archi di schiene e catene di parole. Da qui inizia una morbida salita culminante nelle prima case di Entesano e nell'attraversamento di via Paniae: sulla destra dell'incrocio, l'ombra discreta di San Zenone, chiesetta vinta dal terremoto ma di prossima rinascita, sulla sinistra un largo caseggiato rurale. Passata la lingua d'asfalto, la mulattiera ricomincia a salire tra un tripudio di olmi e frassini, con un'escursione in territorio urbano nella località minuscola di Pissignano, sfiorando la chiesa campestre di San Giovanni Battista; due curve a gomito (la prima destra e la seconda a sinistra) ci incanalano verso il capoluogo, a nord, non prima di avere attraversato, a Ols, il complesso di Santa Margherita, che la leggenda paesana dicono abitata da un personaggio illustre: "Una sorta di tedio, di stanchezza morale, dalla corte di Vienna gli fa sospirare il Friuli, Montalbano". Avete capito bene: Elio Bartolini (FRIULI, 9) si riferisce a Ermes di Colloredo, cortigiano deluso dagli ozi ipocriti della corte imperiale che, riparato a Gorizzo, preferiva questo pied à
terre, introdotto da un nobilesco arco bugnato a tutto stesto ma perduto in mezzo alla campagna, ai larghi e troppo frequentati saloni del castello avito; un castello che, proseguendo sullo sterrato fino all'incrocio con la Provinciale 49, da oltrepassare per imboccare la salita a Laibacco, prendiamo alle spalle, scollinando oltre al nucleo abitato della frazione tra campi di mais e frumento: prima di riguadagnare la Provinciale 100 su via Vendoglio, l'ultimo "fuoristrada" delle Terre di Mezzo è un boschetto in cima a una collina, sulla sinistra.

 

 

 

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